….Si sono presi anche il Corriere
Corrado Stajano - 11-06-2003
Ultimo giorno al Corriere
di Corrado Stajano

Caro direttore,
la parola d’ordine nelle stanze alte del Corriere è sopire, troncare, minimizzare, allontanare il fuoco dalla paglia, fare in fretta, soprattutto, a collocare il nuovo direttore sulla poltrona con l’Enciclopedia Treccani di spalle.

Io mi sono dimesso stamattina perché non credo per nulla nella versione ufficiale delle dimissioni di Ferruccio De Bortoli - i motivi personali – e non credo neppure nelle assicurazioni date sulla continuità del giornale, più o meno provvisoria. Una conquista, persino, il meno peggio che potesse
accadere, secondo alcuni protagonisti di questa vicenda che è un po’ il simbolo della vecchia politica delle stanze chiuse, dei patti riservati, degli occhieggiamenti, dei favori, delle poco sublimi mediazioni, delle trattative sottobanco, dell’eterna ambiguità.

Mi dimetto per protesta
.
Contro l’arroganza del governo e dei suoi ministri, contro una Proprietà subalterna, contro le interferenze, difficili da negare, piovute dall’alto ai danni di un possibile libero giornalismo. In un momento grave per la Repubblica in cui non è certo il caso di fare gli struzzi.

Ho consegnato la mia lettera di dimissioni alla Rita, una delle intelligenti segretarie di direzione e nel giornale deserto della prima mattina sono andato su e giù per i corridori dei vari piani. Ho dato un’occhiata alle vuote stanze della direzione, poi alla celebrata sala Albertini, coi tavoli simili a quelli del Times, con le lampade di ottone che hanno sostituito le lampade verdi. Chissà che cosa è successo qui dentro nel Novecento, conflitti, bassezze, viltà, crimini e misfatti. Ma anche il coraggio di tanti e la passione. Che cosa significa, mi sono detto, il concetto di continuità predicato ora in un giornale come questo che ha segnato la vita nazionale? Da Bava Beccaris e dalla parte dei suoi cannoni al fascismo dopo le non sempre focose resistenze di Albertini fino a quel famoso direttore del dopoguerra esaltato dai manuali, Missiroli, che era solito dire, negli anni 50: «Ci vorrebbe un giornale. Oh, se avessi un giornale!».

La continuità arriva fino alla P2-Di Bella, Rizzoli, Tassan Din o per continuità - speriamo - si vuole intendere soltanto la parte civile della storia, Mario Borsa, Ottone, Cavallari, Stille, Mieli? E Ferruccio de Bortoli. Che ha diretto con dignità un giornale moderato dove a occupare la prima pagina sono stati soprattutto Panebianco, Galli Della Loggia, Merlo, Ostellino e qualcun altro, guardie bianche da cui Berlusconi non ha avuto certo da temere, soltanto benevolenza e consigli filiali. Io sono stato accolto da Ugo Stille nel 1987. Lo ricordo con affetto. Aveva lo sguardo di un uomo che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro, come l’ignoto marinaio del romanzo di Vincenzo Consolo.
Con lui ho scritto molto, di cultura, di politica. Era curioso, gentilmente beffardo. Solo una volta parlò del suo grande amico Giaime Pintor. Nel 1999, poi, de Bortoli mi ha affidato una rubrica di politica e società, «Storie italiane», e in quattro anni non mi ha mai chiesto di togliere una riga o una sola parola garantendo con correttezza esemplare una rubrica dissonante dal resto del giornale.
Sono grato anche a lui.
«Come mai - dicono adesso gli ingenui cittadini di Milano che si incontrano per la strada e ti fanno domande allarmate - Ferruccio de Bortoli era inviso al governo o ad alcuni governanti e il suo successore non lo è?». «Come mai - dicono altri - si sostiene che non è successo niente?».

Berlusconi vuole tutto.

Non gli bastano le sue tre reti televisive, la Rai, i giornali parentali e quelli amici, le radio e le case editrici, come non succede in nessun paese del mondo. Il Corriere, nonostante non fosse nemico, era ed è un inciampo da togliere di mezzo. Perché adesso? Le elezioni non sono state un successo. L’economia ristagna. Non pochi elettori forzisti fanno i conti della spesa, il vecchio carisma del capo è entrato in crisi, il loro cuore è tremulo e intristito. Il semestre europeo può essere un ostacolo micidiale, non un’occasione dorata. E il Corriere conta, resta una spina, ha mantenuto intatto il suo prestigio. Può influenzare milioni di persone.

Che cosa dà fastidio al Cavaliere?

La quantità di informazioni che de Bortoli ha sempre cercato di dare non gli giova. Alcuni collaboratori di certo non gli piacciono, Giannelli e le sue vignette, qualcun altro, il professor Sartori, liberale autentico, che ha battuto per anni sull’incudine del conflitto di interessi e non si è stancato mai perché questo è l’insoluto problema generatore di tanti disastri reali e d’immagine per l’Italia in tutto il mondo. Il 15 maggio, Giovani Sartori ha avuto l’impudenza che non è stata perdonata né a lui né a De Bortoli di scrivere: «Lei ha dichiarato, signor Presidente del Consiglio, che “non sarà consentito a chi è stato comunista di andare al potere”. Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì».

Figuriamoci il Cavaliere che con i suoi fedeli vassalli non ha mai dimenticato il no alla guerra di de Bortoli. Le pressioni governative sono state assillanti, padronali, offensive. A proposito dell’economia e di inchieste su questioni finanziarie. A proposito della giustizia, tema ossessivo. Il direttore de Bortoli l’ha affrontato nell’unico modo possibile per un giornalismo civile pubblicando gli articoli dei bravi, generosi e minacciati cronisti giudiziari che non ritengono il presidente del Consiglio e l’onorevole Previti al riparo dalle notizie documentate. Questi eminenti imputati dei processi di Milano che debbono rispondere di un reato comune così grave come la corruzione di magistrati e che stanno per ottenere l’impunità dalla maggioranza parlamentare con una legge ad personam che certo viola la Costituzione, vogliono essere liberati anche da ogni controllo dell’informazione. Sorretti dai loro avvocati-parlamentari che fanno il diavolo a quattro in difesa dei loro clienti. Le ricusazioni toccano anche alla stampa libera.

Gli azionisti, poi. Quella del Corriere è una proprietà frantumata, un pentolone che contiene tutti i possibili beni e servizi, le auto, i cavi, le telecomunicazioni, i frigoriferi, la finanza, Mediobanca, le assicurazioni. Appassionati sostenitori del libero mercato gli azionisti si sono rivelati fedifraghi, bisognosi come sono delle stampelle e dei favori del governo che certo non dà senza nulla ricevere in cambio. Anche loro hanno protestato infuriati ed esterrefatti - un reato di lesa maestà - quando l’informazione economica del giornale ha rivelato, per alcuni, oscure verità su traffici e affari. Il capitalismo democratico è di là da venire. Anche coloro che deprecano a parole i comportamenti di una società che opera solo in nome degli interessi e lamentano la mancanza di idee e l’assenza di ideali, in quest’occasione non hanno rotto un fronte comune che non li rappresenta.

Il grido della foresta è stato più forte.

Mentre nella mia passeggiata d’addio dentro il giornale deserto passavo davanti alle stanze dell’Economia, al secondo piano, nel vecchio fabbricame di vetro, mi venivano in mente «gli interessi inconfessabili» denunziati da un grande maestro non certo marxista-leninista, Luigi Einaudi quando, forse proprio sul Corriere, si riferiva ai traffici dei cotonieri, dei siderurgici, degli armatori, degli agrari che si servivano dei giornali di cui erano proprietari non certo per difendere idee, ma per calcoli mercantili e usavano i loro poteri e i loro denari per promuovere disegni di legge adatti agli interessi di casa.

Quel che è accaduto al Corriere è grave.

È sbagliato usare anche qui i criteri perdenti della tattica anziché cercare di aprire un po’ la mente e capire quali possono essere le conseguenze rovinose di un Corriere del tutto addomesticato ai voleri di Berlusconi. E questo vale per la sinistra. Il cambio di un direttore di giornale avvenuto chiaramente per impulso governativo non è, come ha detto qualcuno dall’anima questurina, simile a un banale cambio di prefetti. Soprattutto in via Solferino, dove la forza della tradizione conta, nonostante la retorica, dove, malgrado tutto, anche se con fatica, il giornale ce l’ha quasi sempre fatta a uscire dalle tempeste. (La P2 non era un club di gentiluomini: basta ricordare che Giuliano Turone e Gherardo Colombo, allora giudici istruttori, arrivarono alle liste di Gelli indagando sulla mafia, sul finto rapimento di Sindona in Sicilia, sull’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli).

Sono uscito dal palazzo pieno solo di ombre e di fantasmi scendendo per le antiche scale. Sulle pareti sono appese le fotografie dei redattori e dei collaboratori illustri. Mi guardano, li guardo. Soltanto alcuni, faziosamente. Memoria e monito. Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Giovanni Verga, G.A. Borgese, Federico De Roberto, Eugenio Montale, Italo Calvino. E Ferruccio Parri, con i suoi occhiali sulla fronte.

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 Francesco Pardi    - 13-06-2003
I movimenti nel semestre del disonore

L'ultimo articolo di Dalla Chiesa, allarmante, sulla viscosità dei nuovi equilibri e la lettera di Stajano, dolente ma testimone di uno spirito irremovibile, sulle sue dimissioni dal Corriere della Sera, sono due scritti che spero i nostri lettori non si siano fatti sfuggire. Testimoniano il nostro tempo e con la loro gravità mi fanno apparire quasi frivolo il tema che vorrei toccare: la domanda "dove sono i movimenti?". Ma il legame è stretto. Proprio perché la situazione è così grave ci si interroga sulla risposta della società civile. I movi-menti hanno condotto un anno e mezzo di iniziativa incessante, con manifestazioni di ampiezza mai vista in cui è venuta allo scoperto un'opinione pubblica di massa pacifica, seria, critica, proveniente dalle condizioni sociali più diverse. Mobilitata dalla convinzione che i fondamenti della democrazia e della libertà (quella vera, la libertà di tutti) sono in pericolo. Il passare del tempo ha reso più profonda la convinzione. Essa può apparire in contrasto con la realtà visibile. In effetti sta dinanzi a noi un quadro inedito. Al confronto con altri decenni della storia repubblicana il conflitto sociale è tutto nascosto nelle pieghe crudeli ma silenziose delle relazioni economiche. Anche i fenomeni drammatici come l'incremento delle morti sul lavoro non si affacciano alla coscienza collettiva e danno meno scandalo delle rapine in tabaccheria. Non ci sono scontri di piazza, a meno che non li provochi il governo, come a Genova. Non ci sono gruppi armati che si scontrano nelle strade. Le manifestazioni oceaniche, per lo stato di diritto o contro la guerra, sono le più pacifiche del mondo. Il conflitto si gioca tutto su una dimensione formale: la definizione dei confini che limitano il potere politico sulla società. Un cittadino ineleggibile in base alle leggi della Repubblica è stato eletto. Già dotato di mezzi comunicativi del tutto sproporzionati al confronto con quelli di tutti i suoi competitori, ha condotto un'offensiva incessante contro la giustizia, dinanzi alla quale è imputato per reati gravissimi, e portato un assalto per sottomettere i mezzi d'informazione che sfuggivano al suo controllo privato. Ha fatto cambiare le leggi per far scomparire parte dei reati attribuitigli e per quelli che non ha potuto cancellare si appresta a far passare leggi con ogni evidenza incostituzionali. La distorsione del quadro costituzionale non si fermerà qui perché le pretese del soggetto sono infinite: si profila un futuro oscuro con progetti che puntano alla regionalizzazione della Corte Costituzionale e a un presidenzialismo che cumuli nelle stesse mani i poteri di capo dello Stato e capo del governo. Con i mezzi della democrazia parlamentare si incrina e si erode la democrazia parlamentare. La prospettiva evoca l'immagine della "democrazia suicida" ben nota ai costituzionalisti, la cui comunità scientifica è infatti in allarme permanente. Conflitto formale ma sostanziale. I movimenti hanno fronteggiato questa calamità, e allo stesso tempo l'inattingibile guerra ille-gittima in Iraq, solo con l'esercizio della parola e con l'arte della persuasione. Non credo che si possa misurare oggi l'effetto di queste forze in sé deboli e misteriose. Abbiamo seminato molto e raccolto poco? È difficile dirlo, ma quanto è facile l'ironia di chi deride i movimenti protetto dal possesso totalitario dei teleschermi! Certo dall'interno della macchina che lavora per il rincretinimento sociale non è poi detto che si possa capire ciò che si muove nella società. Credete davvero che i milioni di cittadini consapevoli che hanno riempito più volte le piazze d'Italia siano scomparsi? Credete di averli persuasi col fascino della pubblicità? Illudetevi pure. Credete che il trucco delle cinque cariche istituzionali in pericolo riesca a nascondere i guai giudiziari di una sola? E che l'espediente dell'immunità faccia scordare l'imputazione gravissima che ve lo rende necessario? Proprio l'immunità la ricorderà a tutta l'Europa, che del resto ha ben presente come il presidente del consiglio italiano sia inquisito per falso in bilancio in Spagna, dove il reato è ancora preso sul serio. L'altra sera, dallo schermo dove risiede in permanenza, il capo del governo ha ardito parlare di giustizia e addirittura di certezza delle pene. Ritenete che, con il pensiero ai suoi vari processi, l'opinione pubblica internazionale non si sia lasciata sfuggire un sorriso? Pensate che l'Europa dimentichi che il presidente del consiglio italiano è l'unico monopolista televisivo nel mondo a capo di un governo? Con la mossa prepotente sul Corriere della Sera glielo avete appena rammentato. L'avvocato Pecorella, che con il suo cumulo di cariche private e pubbliche è il perfetto rappresentante del conflitto d'interessi del suo datore di lavoro, argomenta che "molti radicali di sinistra devono essersi resi conto che non conviene al paese andare alla presidenza del semestre europeo in condizione di scontro a sangue". A parte l'espressione inutilmente trucida, e il fatto che l'unico scontro a sangue che c'é in Italia è quello tra la maggioranza di governo e la Costituzione, resta una verità triste anche per noi ma incancellabile: quello che vi aspetta è il semestre del disonore. E quanto più vi agiterete per far scomparire i processi, aggredire la giustizia, sottomettere l'informazione, tanto più disonore sarà. Intanto i movimenti hanno la loro vita. E se qualche metropoli è stanca, la provincia è fresca. Le energie della società civile non si muovono tutte allo stesso tempo. Ma l'esito del ballottaggio ha mostrato che il successo dei partiti dell'opposizione nasce in modo inequivocabile da un moto consapevole e corale della nostra opinione pubblica. Si riprenderà subito il cammino per il nostro semestre: la difesa dell'integrità costituzionale. Il primo appuntamento è per il 18 giugno con manifestazioni unitarie in molte città. Si muoveranno Firenze, Roma, Napoli, Milano contro lo scandalo dell'ennesima legge ad personam per nascondere le imputazioni del capo del governo durante il semestre europeo. Tutti i cittadini sono invitati a dare il loro contributo per queste e altre iniziative in vista di una nuova grande scadenza nazionale.